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Investire al tempo del coronavirus

  • Autore/i
    Didier Saint-Georges
  • Data di pubblicazione
  • Lunghezza
    10 minuto/i di lettura

Quattro mesi dopo l’annuncio dei primi casi di un’infezione virale ancora senza nome in una provincia cinese, gli indici dei mercati azionari hanno in un primo tempo registrato un crollo del 35% in media nel mese a livello globale, realizzando poi un rimbalzo di pari entità (in misura maggiore per l’indice Nasdaq) nei due mesi successivi. Questo andamento eccezionale dei mercati azionari, prima in un senso e poi nell’altro, ha rispecchiato la non meno incredibile sequenza di una prima decisione politica che ha messo in coma farmacologico metà dell’economia del pianeta per tentare di arginare la diffusione del coronavirus, e successivamente dalla metà di marzo quella di contrastare gli effetti di questa decisione implementando contromisure senza precedenti in termini di politiche di sostegno sia fiscali che monetarie.

Formulare previsioni economiche in questo contesto è molto pretenzioso, poiché in parte ciò presuppone di poter prevedere l’andamento del virus stesso,cosa che la maggior parte degli esperti in questo campo evita di fare nella fase attuale. Elaborare previsioni sui mercati azionari potrebbe invece sembrare molto più semplice, poiché ovviamente in questo ambito l’incertezza economica riveste scarsa importanza, dato che il costante sostegno delle Banche Centrali è più che mai sia il driver che il paracadute e il barometro dei mercati.

A breve termine queste osservazioni ci obbligano a destreggiarci in mezzo a tali movimenti di mercato, orientandoci in base all’analisi degli interventi dei governi e mantenendo l’incertezza economica come orizzonte di riferimento.

A medio termine tra il “più le cose cambiano e più rimangono le stesse” e il “niente sarà più come prima”, riteniamo che si stia delineando una realtà più sottile, con implicazioni determinanti per gli investitori.



[Divider] [Management report] Blue sky and buildings

Il mondo è diventato keynesiano


Di fronte alla grande crisi finanziaria del 2008, i governi occidentali avevano nel loro complesso scaricato sulle Banche Centrali l’onere di stimolare l’economia attraverso politiche monetarie non convenzionali, sotto forma di acquisti di asset obbligazionari. Questa immissione di liquidità nel sistema finanziario ha ampiamente sostenuto i mercati, ma né l’attività economica reale, né le prospettive di inflazione hanno mai raggiunto dinamiche sufficienti affinché il sostegno delle Banche Centrali potesse essere interrotto in modo duraturo (ricordiamo il fallito tentativo del 2018). Il motivo di questo relativo insuccesso sul piano economico è il fatto che il sostegno offerto dai tassi d’interesse ha consentito di evitare il peggio, ma è riuscito a incentivare solo in modo ridotto gli investimenti per operatori la cui priorità era la riduzione della leva finanziaria (si consideri l’austerità di bilancio intransigente, così come imposta ai paesi dell’Europa meridionale). Questa volta la situazione è totalmente diversa. Dato che i governi hanno preso direttamente le decisioni che hanno provocato il crollo della spesa del settore privato, si sono assunti le loro responsabilità optando per un’impennata della spesa pubblica. Il disavanzo di bilancio degli Stati Uniti dovrebbe quindi attestarsi a circa il 20% del PIL alla fine dell’anno, mentre quello dell’Eurozona al 10%.

Il mondo è diventato keynesiano. Questa volta, invece, le politiche di acquisto di titoli da parte delle Banche Centrali rappresentano la logica conseguenza di questi piani fiscali, agevolandone il finanziamento.

Si stanno ovviamente sollevando molti interrogativi di fronte a un simile coordinamento tra politiche fiscali e monetarie, che stranamente inizia ad assomigliare a una “monetizzazione” di debiti pubblici esorbitanti. Questo rischio è stato trattato nella nostra Note precedente (Carmignac’s Note del mese di marzo “Non demordere” ), e giustifica in particolare le posizioni significative detenute nelle miniere aurifere all’interno dei portafogli globali.

Rappresenta inoltre un cambiamento decisivo dello scenario macroeconomico per l’investitore, rafforzando l’importanza degli investimenti del settore pubblico all’interno della crescita. È eccessivamente prematuro valutare l’efficacia di questi investimenti in prospettiva futura da cui, alla luce dell’esperienza, è legittimo temere un impatto negativo sulla produttività. Dirottare capitali disponibili per finanziare progetti dal rendimento incerto, a discapito degli investimenti privati, raramente è risultato un metodo favorevole alla crescita. Forse un’eccezione è tuttavia rappresentata da alcuni ambiziosi progetti ambientali che, coinvolgendo in modo intelligente il settore privato, sapranno combinare investimenti responsabili e opportunità economiche. Molti dei nostri Fondi sono particolarmente presenti in questa tematica.

Per il momento, lo sforzo finanziario degli Stati Uniti rappresenta quasi il 15% del PIL, per la maggior parte sotto forma di sussidi diretti. Il piano di stimoli presentato dalla Commissione Europea non è della stessa portata, anche se è difficile stabilire paragoni, e dovrà ancora passare sotto le forche caudine del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, trovando l’opposizione di alcuni di questi, prima di essere attuato nel 2021. Tuttavia rappresenta quanto meno un primo progetto di mutualizzazione del debito sostenuto dall’asse franco-tedesco, e per questo motivo merita l’onore che i mercati gli hanno riservato.

[Divider] [Flashnote] Financial analysis

Monitorare le abitudini dei consumatori


La ripartenza dell’economia è una necessità mentre permangono i rischi di contagio


Una reazione troppo tardiva da parte della maggior parte dei governi (Taiwan rappresenta una delle rare eccezioni) e l’estrema contagiosità del Covid-19 rispetto all’epidemia di SARS del 2003, questa volta hanno reso possibile lo sviluppo estremamente rapido e globale dell’infezione, nonostante l’implementazione di drastiche misure di contenimento. A livello mondiale, il numero di persone colpite dal coronavirus supera ormai i 6 milioni. Di conseguenza, contrariamente a quanto accaduto nel 2003, non è possibile mantenere in atto misure di contenimento fino all’azzeramento del tasso di infezione. Il costo economico sarebbe troppo elevato. Il “riavvio” dell’economia è quindi iniziato, mentre permangono i rischi di contagio. Non vi è alcun dubbio che le riduzioni graduali delle misure di contenimento, in combinazione con politiche di sostegno finanziario molto proattive, nel terzo trimestre innescheranno un rimbalzo dei consumi delle famiglie, repressi da diversi mesi. Il graduale riavvio dell’economia è inoltre stato accolto favorevolmente dai mercati nell’ultimo mese.

Ma al di là dell’effetto compensativo, com’è possibile immaginare che le attività collettive, a partire ovviamente dal trasporto aereo o dal turismo di massa, possano tornare al loro modello economico precedente nella sua totalità fintanto che si protrarrà il “distanziamento sociale”? Va inoltre notato che anche in paesi come Taiwan o la Svezia, che non hanno imposto misure di contenimento, è bastata soltanto la prudenza legata alla minaccia di contagio per provocare un forte calo dei consumi correnti (in Svezia, ad esempio, le vendite di abbigliamento sono crollate del 35% a marzo). Altra differenza cruciale con l’epidemia di SARS del 2003 è il fatto che attualmente il fenomeno è globale, il che induce ogni paese a limitare gli scambi con le altre nazioni finché l’infezione non verrà sradicata (nessuno sa quanto tempo ci vorrà per scoprire, autorizzare l’immissione sul mercato e per la distribuzione globale di un vaccino efficace).

Oltre ai timori sanitari che osteggiano i consumi, vi sono i timori economici: negli Stati Uniti è difficile immaginare come un tasso di risparmio che l’anno scorso non superava l’8% possa non aumentare in modo significativo con risparmi a titolo precauzionale in vista dell’impennata del tasso di disoccupazione. Più in generale, anche se la flessibilità dell’occupazione si applica nei due sensi, è difficile che l’economia statunitense possa evitare di essere penalizzata dalla perdita di potere di acquisto e dal trauma della perdita di circa quaranta milioni di posti di lavoro in poche settimane, per non parlare dei 100.000 deceduti direttamente a causa dell’epidemia. L’indice statunitense della fiducia delle famiglie è passato da 130 all’inizio dell’anno a 86,6 a maggio. In Europa, pare inoltre prevedibile che in tempi brevi le aziende possano adottare una logica di taglio dei costi, e che l’aumento della precarietà a livello occupazionale possa sostenere l’aumento dei risparmi a titolo precauzionale, a discapito della spesa discrezionale (la Commissione Europea prevede che il tasso di risparmio nell’Eurozona aumenti dal 12,8% dello scorso anno al 19% quest’anno).

Questa crisi si preannuncia come l’accelerazione della selezione darwiniana avviata da diversi anni

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La conversione all’austerità, che si applicherà anche alle imprese, non avrà soltanto ripercussioni macroeconomiche: più che mai indirizzerà l’attività economica verso le soluzioni di comunicazione, commercio, lavoro, istruzione più convenienti, più efficaci e maggiormente sicure.

Pertanto, questa crisi si preannuncia come l’accelerazione della temibile selezione darwiniana, già avviata da diversi anni: in periodi di scarsa crescita gli operatori di mercato, già in posizione di leadership grazie all’ottimizzazione delle loro competenze tecnologiche a sostegno dell’offerta ai clienti, si adatteranno molto bene al contesto, mentre gli operatori poco flessibili, penalizzati da forte intensità di capitale e già fragili finanziariamente, saranno in grave pericolo. La sovraperformance dei titoli tecnologici, che è proseguita dall’inizio dell’anno, è riconducibile a questa prospettiva. Tuttavia quest’ultima rappresenta una tendenza strutturale ormai consolidatasi, che sarebbe errato ritenere già scontata sui mercati, a patto ovviamente di mantenere una forte selettività.

Mantenere il controllo della situazione a 360°


Non si può sottovalutare l’intensità degli scossoni che la maggior parte delle economie a livello globale sta subendo. Come nel caso delle scosse sismiche, non si può escludere che dopo un periodo di calma questa crisi faccia registrare delle scosse di assestamento successive, e che delle crepe attualmente prive di conseguenze provochino fratture in un secondo tempo. Non mancano le aziende, ma anche i paesi, candidati alla crisi di solvibilità. Nessuno sa fino a che punto la ricomparsa di tensioni economiche interne possa alimentare negli Stati Uniti, in Cina o altrove, un aumento delle tensioni sociali e politiche, o addirittura incoraggiare azioni ostili esterne. Tocqueville affermava che in politica ciò che spesso è più difficile da apprezzare è ciò che accade sotto i nostri occhi.

Eppure non soltanto le società flessibili leader nel settore tecnologico usciranno rafforzate dalla crisi ma, anche nei settori più penalizzati, la selezione darwiniana determinerà la vittoria di quelle migliori. Ad esempio anche nel trasporto aereo, gli operatori più efficienti sopravvivranno e saranno favoriti dalle battute d’arresto dei loro sfortunati concorrenti sin dalla prima ripresa macroeconomica. Tuttavia il posizionamento e gli afflussi degli investitori dall’inizio dell’anno sembrano ignorare queste “sottigliezze”. In quanto investitori, è quindi necessario mantenere il controllo della situazione a 360° di fronte all’incertezza radicale generata dalla crisi del coronavirus: mantenere portafogli concentrati principalmente sulle aziende strategiche vincenti nel lungo periodo, continuando a prestare molta attenzione ai rischi di instabilità così come alle opportunità tattiche.

Fonte: Carmignac, Bloomberg, 30/05/2020

Strategia di investimento