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L’inesorabile teoria dell’evoluzione

  • Autore/i
    Didier Saint-Georges
  • Data di pubblicazione
  • Lunghezza
    7 minuto/i di lettura

In questa fine d’estate l’andamento della pandemia resta incerto, poiché il virus che ne è responsabile rimane ad oggi ampiamente sconosciuto. Ciò che è certo è che la gente, le aziende, i governi hanno iniziato ad adattarsi a questa incertezza, anche se in ritardo. Questi cambiamenti nei comportamenti impediscono un rimbalzo dell’attività globale, indipendentemente dalla ripresa nel terzo trimestre, ma riducono il rischio di un nuovo collasso significativo della situazione sanitaria, e generano una polarizzazione estrema in termini di performance tra settori.

[Insights] 2020 09_Carmignac Note (All) IT

A livello macroeconomico, la decisione di un ulteriore blocco del 50% dell’attività globale non rappresenta più un’opzione: qualunque cosa accada, verranno privilegiate soluzioni più mirate che eviteranno un nuovo crollo della crescita. Sta quindi iniziando una fase di attività economica fragile e molto disomogenea a livello globale, ma che beneficia del sostegno di numerosi stimoli fiscali e monetari, di cui le autorità potranno ridurre il flusso soltanto con molta cautela.

Gestire le crisi è fondamentale tanto quanto non sbagliarsi sulle loro ripercussioni a lungo termine

A livello microeconomico, il perfetto adattamento delle aziende, che offrono soluzioni ai problemi di mobilità, sicurezza sanitaria, produttività, ha consentito a queste ultime di rafforzare la loro capacità di generare profitti dall’inizio dell’anno. Al contrario, altri settori dovranno adattarsi in modo radicale per non scomparire. Le leggi dell’evoluzione non evitano affatto le crisi ma ci rammentano che sono queste ultime a generare, invertire la tendenza o al contrario imprimere un’accelerazione sulle tendenze a lungo termine.

In quanto investitori, gestire le crisi è fondamentale tanto quanto non sbagliarsi sulle loro ripercussioni a lungo termine.

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Ad oggi il principale rischio per i mercati non è più la pandemia


Va ricordato che all’inizio dell’anno i modelli epidemiologici dell’Università Imperial College di Londra, istituto britannico particolarmente autorevole e di tutto rispetto, lasciavano temere che la pandemia di Coronavirus avrebbe provocato 2.000.000 di decessi negli Stati Uniti e 500.000 nel Regno Unito. I modelli erano palesemente inesatti…

Forse a causa di questo pessimismo, forse poiché era politicamente pericoloso per le democrazie occidentali tentare di gestire il rischio in modo meno radicale rispetto a quanto fatto in Cina, si è preferito optare per il lockdown su vasta scala, al prezzo del crollo economico che conosciamo. Sei mesi dopo, il mondo ha deciso di imparare a convivere con il virus. Ciò significa che nell’attesa che un vaccino efficace venga scoperto, testato, prodotto e distribuito su larga scala la minaccia, che inciderà sui comportamenti, sarà presente in modo più o meno grave. L’uso ampiamente diffuso delle mascherine sarà disomogeneo, e quindi il numero dei casi di contagio identificati aumenterà con il moltiplicarsi dei test e l’allentamento dell’attenzione tra i giovani, ma probabilmente senza causare una forte ripresa del tasso di mortalità.

I settori della ristorazione, dei trasporti e quello alberghiero supereranno la fase più difficile ma con pesanti conseguenze, e il settore bancario dovrà continuare a sopravvivere attraverso la continua riduzione dei costi. Il ricorso al commercio elettronico, alle piattaforme di videoconferenza, sicuramente considerate come soluzioni efficaci di comunicazione per le aziende, alle soluzione basate sul web, proseguirà a un ritmo di impiego più graduale.

Nella prima metà dell’anno, i mercati si sono dovuti adeguare a uno shock economico di proporzioni storiche, a cui ha fatto seguito una reazione non meno straordinaria da parte delle autorità. La gestione dei rischi è stata decisiva per non essere travolti da questa turbolenza. Ma sotto questo apparente sconvolgimento, non meno cruciale è comprendere i vari gradi di sviluppo delle strategie di adattamento, che indicano agli investitori le specie minacciate e quelle invece rafforzate. Ad oggi pare che queste tendenze siano state ben comprese. Ora, il rischio potrebbe essere che i mercati le abbiano sopravvalutate?

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I titoli growth sono diventati pericolosi?


Ormai da oltre dieci anni, la gestione degli strascichi della crisi del 2008 attraverso mezzi esclusivamente monetari ha avuto come conseguenze una scarsa ripresa economica globale e un calo senza precedenti dei tassi d’interesse. Pertanto, le aziende in grado di generare una forte crescita dei profitti nonostante questo contesto avevano beneficiato di performance invidiabili sul mercato azionario, con le loro valutazioni sostenute non solo dal vantaggio in termini di crescita degli utili, ma anche del tasso di attualizzazione sugli utili sempre più basso. Questo fenomeno si è automaticamente rafforzato a causa del cataclisma economico del primo semestre 2020, che rende ancora più incerte le prospettive di crescita macroeconomica globale, e conferma quelle di un mantenimento duraturo di tassi d’interesse molto bassi.

Nel contesto totalmente nuovo di forte preoccupazione per la sicurezza sanitaria, destinata a non esaurirsi facilmente, alcuni segmenti del settore tecnologico hanno addirittura registrato un aumento del loro vantaggio competitivo, mentre l’impennata del tasso medio di indebitamento delle imprese ha messo maggiormente in luce il buono stato di salute finanziaria delle società leader tecnologiche. Contrariamente a ciò che le aveva caratterizzate in occasione della bolla internet di vent’anni fa, oggi i loro bilanci sono spesso estremamente solidi e la loro redditività è nettamente superiore alla media delle aziende quotate (mediamente oltre il 25% di margine operativo per i titoli tecnologici statunitensi, rispetto a meno del 10% dell’indice S&P500 con esclusione dei titoli tecnologici e finanziari). Ne consegue che la netta sovraperformance dei titoli growth dall’inizio dell’anno, spesso appartenenti al settore tecnologico anche se non in modo esclusivo, non dovrebbe essere messa in discussione.

La netta sovraperformance dei titoli growth dall’inizio dell’anno non dovrebbe essere messa in discussione

È eccessiva? Riteniamo che non lo sia. Ad esempio, il multiplo sui risultati del comparto dei titoli tecnologici dell’indice MSCI World presenta attualmente un premio di circa il 30% rispetto all’indice globale, fortemente in linea con la propria media storica degli ultimi 25 anni (premio del 25%) e nettamente inferiore al premio del 120% prevalente nel 1999-2000. Altro esempio molto eloquente: il rapporto, che mette a confronto il prezzo di un’azione con il tasso di crescita degli utili previsto a lungo termine, è oggi all’incirca lo stesso (compreso tra 2X e 2,5X) nel caso dei famosi “GAFAM” rispetto al resto dell’indice S&P (la situazione è ben diversa rispetto a vent’anni fa, quando il prezzo pagato sulla crescita attesa era più basso per i titoli non tecnologici).

Questa piccola discriminazione operata oggi dal mercato sulla “valutazione della crescita” è un aspetto fondamentale per due motivi. Innanzitutto perché mostra che, tenendo conto del potenziale di crescita a lungo termine, il settore tecnologico non è sopravvalutato rispetto al resto del mercato. In secondo luogo poiché costituisce anche un’importante opportunità di valore aggiunto per la gestione attiva. Infatti, date le incertezze macroeconomiche, è difficile raggiungere un livello elevato di fiducia nelle previsioni a lungo termine. Ciò è possibile soltanto attraverso la conoscenza e l’analisi approfondita di ogni azienda, del suo universo in termini di concorrenza, delle radicali innovazioni tecnologiche in gioco, ecc. L’ulteriore aumento dell’influenza esercitata dalla gestione passiva e il ruolo svolto recentemente dalle piattaforme di trading per la clientela privata negli Stati Uniti, nel caso di alcune performance fulminee sul mercato azionario, stanno aumentando le anomalie di valutazione e allo stesso tempo le opportunità di una gestione attiva che si distingua.

La natura della crisi economica del 2020 e della sua gestione rende temerario prevederne gli sviluppi. In particolare, i sostegni statali atipici forniti direttamente alle imprese e ai soggetti privati saranno sufficientemente prolungati per evitare un’accelerazione dei casi di default, in particolare tra le aziende di medie dimensioni, che potrebbe poi trascinare l’economia in una nuova recessione nel 2021 ? Il problema si pone sia per l’Europa che per gli Stati Uniti, dove è già diventato molto delicato a livello politico, e si aggiunge alla crescente incertezza delle prossime elezioni presidenziali tra due mesi. Al contrario, una svolta medica nella cura o nella prevenzione del Covid, il passaggio del Rubicone da parte delle Banche Centrali verso una monetizzazione totalmente presa in carico di disavanzi fiscali senza precedenti, forse un trasferimento almeno parziale del tasso di risparmio storico delle famiglie all’economia reale, tutte queste circostanze potrebbero confluire, seppure temporaneamente, nella speranza di un definitivo affrancamento da dieci anni di stagnazione macroeconomica e di aspettative inflazionistiche al minimo. Bisogna quindi restare pronti a entrare nuovamente in azione con tutta la flessibilità richiesta in caso di necessità, poiché le leggi dell’evoluzione valgono per tutti, a cominciare dai gestori di asset. Nel frattempo, l’esigenza tassativa è quella di mantenere portafogli azionari composti da vere e proprie convinzioni di lungo periodo a livello di singoli titoli, integrati, per l’equilibrio della struttura di portafoglio nel suo complesso, da asset correlati agli interventi di ripresa economica, come il credito, e dai loro avatar (squilibri di bilancio, creazione di moneta), come le miniere aurifere.



Fonte: Carmignac, Bloomberg, 31/08/2020

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