Carmignac's Note
L’inesorabile teoria dell’evoluzione
Alla fine di questa estate l’andamento della pandemia resta incerto, poiché il virus che ne è responsabile rimane ad oggi ampiamente sconosciuto. Tutti ci siamo adattati a questa incertezza, e i nostri cambiamenti nei comportamenti riducono il rischio sanitario ma impediscono il rimbalzo dell’attività a livello globale e generano una polarizzazione estrema in termini di performance tra settori economici.
Un nuovo blocco dell’attività globale non rappresenta più un’opzione, e ci stiamo invece avviando verso un periodo economicamente fragile e molto disomogeneo, sostenuto principalmente dai numerosi stimoli fiscali e monetari delle autorità. In questo contesto, il perfetto adattamento di alcune aziende, ha consentito di fornire soluzioni ai problemi di mobilità, sicurezza sanitaria, produttività, rafforzandone così la redditività. Al contrario, altri settori dovranno adattarsi in modo radicale per non scomparire.
Le leggi dell’evoluzione non evitano affatto le crisi ma ci rammentano che sono queste ultime a generare, invertire la tendenza o al contrario imprimere un’accelerazione sulle tendenze a lungo termine. In quanto investitori, gestire le crisi è fondamentale tanto quanto non sbagliarsi sulle loro ripercussioni a lungo termine.
Ad oggi il principale rischio per i mercati non è più la pandemia
Oggi il mondo ha deciso di imparare a convivere con il virus. Ciò significa che nell’attesa che un vaccino efficace venga distribuito su larga scala, la minaccia influenzerà i nostri comportamenti.
I settori della ristorazione, dei trasporti e quello alberghiero supereranno la fase più difficile ma con pesanti conseguenze, e il settore bancario dovrà continuare a sopravvivere attraverso la continua riduzione dei costi. Al contrario, il ricorso al commercio elettronico, alle piattaforme di videoconferenza, e alle soluzioni basate sul web proseguirà a un ritmo di impiego più graduale.
Comprendere i vari gradi di sviluppo delle strategie di adattamento indica agli investitori le specie minacciate e quelle invece rese più forti. Mentre ad oggi queste tendenze paiono ben comprese, ora il rischio potrebbe essere che i mercati le abbiano sopravvalutate?
I titoli growth sono diventati pericolosi?
Ormai da oltre dieci anni, la gestione degli strascichi della crisi del 2008 ha avuto come conseguenze una scarsa ripresa economica globale e un calo senza precedenti dei tassi d’interesse. Pertanto, le aziende in grado di generare una forte crescita dei profitti avevano beneficiato di performance invidiabili sul mercato azionario.
Questo fenomeno ha automaticamente subìto un’accelerazione nel 2020, favorendo alcuni segmenti del settore tecnologico, con un aumento del loro vantaggio competitivo.
Contrariamente a ciò che li aveva caratterizzati in occasione della bolla internet di vent’anni fa, oggi i loro bilanci sono spesso estremamente solidi e la loro redditività nettamente superiore. Ne consegue che la netta sovraperformance dei titoli growth dall’inizio dell’anno, spesso appartenenti al settore tecnologico anche se non in modo esclusivo, non dovrebbe essere messa in discussione.
È eccessiva? Riteniamo che non lo sia. Ad esempio, attualmente il premio sulla valutazione dei titoli tecnologici (circa il 30%) è fortemente in linea con la propria media storica degli ultimi 25 anni (premio del 25%) e nettamente inferiore a quello prevalente nel 1999-2000 (120%).
Date le incertezze, è difficile raggiungere un livello elevato di fiducia nelle previsioni a lungo termine. Ciò è possibile soltanto attraverso la conoscenza e l’analisi approfondita di ogni azienda, del suo universo in termini di concorrenza, delle radicali innovazioni tecnologiche in gioco, ecc. Ciò rappresenta quindi un’importante opportunità per la gestione attiva.
La natura della crisi economica del 2020 e della sua gestione rende temerario prevederne gli sviluppi. Bisogna quindi restare pronti a entrare nuovamente in azione con tutta la flessibilità richiesta in caso di necessità, poiché le leggi dell’evoluzione valgono per tutti, a cominciare dai gestori di asset. Nel frattempo, l’esigenza tassativa è quella di mantenere portafogli azionari composti da vere e proprie convinzioni di lungo periodo a livello di singoli titoli, integrati, per l’equilibrio della struttura di portafoglio nel suo complesso, da asset correlati agli interventi di ripresa economica, come il credito o le miniere aurifere.
Fonte: Carmignac, Bloomberg, 31/08/2020