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E se l’inflazione non fosse transitoria…

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Carmignac

Benché ancora poco probabile, esiste uno scenario alternativo, quello di inflazione resiliente accompagnata da un aumento generalizzato dei tassi di interesse, i cui effetti potrebbero essere significativi per gli investitori, avverte Frédéric Leroux, membro del Comitato di Investimento Strategico di Carmignac.

Cosa pensa dell’inflazione, che resta al centro degli attuali dubbi di investitori, risparmiatori e consumatori?


Frédéric Leroux: Attualmente gli investitori prevedono che l’inflazione sia solo transitoria. Esiste tuttavia uno scenario alternativo sostenuto dall’aumento dei prezzi, registrato sia in Europa che negli Stati Uniti a seguito della ripresa dell’economia globale, e da un probabile aumento delle retribuzioni di alcune posizioni lavorative negli Stati Uniti. L’inflazione potrebbe non essere transitoria ma resiliente, ed essere accompagnata da un aumento generalizzato dei tassi di interesse. Benché un tale pericolo resti ancora poco probabile, i suoi effetti potrebbero essere significativi per gli investitori.

Cosa intende?


F.L.: La fine della disinflazione costante ci costringerebbe a non tenere conto delle reazioni scontate degli investitori mostrate negli ultimi decenni, e a dimostrare capacità di adattamento a un nuovo contesto, poiché appare evidente che un simile scenario avrebbe conseguenze sulle valutazioni di alcuni titoli azionari, sull’oro oltre che sul mercato immobiliare. Ma, lo ribadisco, questo scenario resta alternativo. Inoltre, al fine di evitare che possa concretizzarsi, diverse Banche Centrali, il cui ruolo è quello di stabilizzare l’attività economica, hanno iniziato a intervenire.

Cosa hanno fatto per ridurre le aspettative di inflazione degli investitori?


F.L.: Molte di loro, all’interno dei paesi esportatori di materie prime e dei paesi emergenti, hanno già avviato rialzi dei tassi di interesse nelle ultime settimane. Per quanto riguarda la Federal Reserve statunitense (Fed), ha annunciato la riduzione degli acquisti di asset finanziari avviata per sostenere l’economia diversi anni fa con, in prospettiva, un aumento dei suoi tassi di riferimento nel corso del prossimo anno. La volontà chiaramente espressa dal suo Presidente, Jerome Powell, è soprattutto quella di non cogliere di sorpresa i mercati finanziari, indicando in anticipo ciò che la Banca Centrale intende fare, in che misura e a quale ritmo.

Il Presidente della Fed, che ha spesso ripetuto che l’inflazione fosse solo transitoria…


F.L.: Esattamente. Secondo lui, sembrerebbe quasi scontato che la realtà economica non debba riservare sorprese negative in grado di sconvolgere i suoi piani o di cogliere di sorpresa gli investitori. Vorremmo esserne convinti tanto quanto Powell, ma occorre constatare che l’aspetto “transitorio” dell’inflazione statunitense, attualmente superiore al 6%, sta iniziando a essere messo in discussione dalle carenze in diversi settori di attività (semiconduttori, manodopera…) e da nuovi atteggiamenti nei confronti del lavoro.

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A quali atteggiamenti allude?


F. L.: Grazie ai risparmi accumulati negli ultimi diciotto mesi, all’apprezzamento del mercato azionario statunitense e dei prezzi degli immobili, e all’esigenza di una “migliore qualità di vita”, un certo numero di famiglie statunitense sta valutando il pensionamento anticipato, la cessazione di un’attività da lavoratore dipendente per uno dei suoi componenti, o un’occupazione meno vincolante in termini di orari. Inoltre, dato il numero di offerte di lavoro prossimo ai record storici a condizioni retributive interessanti, i lavoratori dipendenti si trovano in posizione di forza nella trattativa sulle retribuzioni (la prima da decenni), e ciò dovrebbe alimentare l’aumento dei prezzi. A ciò si aggiungono altri due potenziali fattori di inflazione.

Quali?


F.L.: Il primo è il risultato delle misure adottate da alcuni Stati, che hanno distribuito potere d’acquisto aggiuntivo alle famiglie, come nel caso degli assegni inviati dall’Amministrazione Trump per fronteggiare la crisi sanitaria anche a persone con una propensione ai consumi già elevata. Il secondo fattore aggiuntivo di inflazione è la conseguenza della transizione energetica a ritmo serrato, che potrebbe innescare l’aumento duraturo dei prezzi del gas e del petrolio a causa del calo degli investimenti nel settore delle energie da combustibili fossili, mentre la loro sostituzione con altre fonti energetiche richiederà molti anni.

Gli investitori hanno tuttavia accolto favorevolmente gli annunci della Fed…


F.L.: Certamente, ma è proprio questo l’aspetto preoccupante. Nonostante un contesto economico molto delicato, gli investitori ritengono che l’economia non abbia abbandonato la strada intrapresa negli ultimi decenni, quella in cui un’inflazione strutturalmente bassa e incapace di registrare forti aumenti consenta di mantenere i tassi di interesse a livelli costantemente bassi, che favoriscono quindi l’indebitamento e un tasso di crescita più ridotto.

In che modo è preoccupante?


F.L.: L’aumento troppo rapido dei tassi di interesse da parte delle Banche Centrali innescherebbe un forte rallentamento dell’economia globale, dato il livello elevato dell’indebitamento. All’opposto, in caso di interventi troppo morbidi o troppo lenti da parte delle Banche Centrali, che effettivamente gli investitori non paiono prendere in considerazione, l’inflazione potrebbe mantenersi a un livello elevato per lungo tempo. Con una crescita globale più debole, un’inflazione resiliente avrebbe maggiori conseguenze negative sui mercati finanziari, rispetto agli effetti positivi che avrebbe un rallentamento graduale dell’aumento dei prezzi.

Proprio nella situazione attuale, che impatto prevede sui titoli azionari?


F.L.: Nel caso in cui l’inflazione dovesse tornare a diminuire gradualmente dopo la fine delle carenze attuali senza un crollo della crescita, i mercati azionari dovrebbero mantenere il loro trend positivo, ancora trainati dai titoli growth ad alta visibilità1 . Qualora le Banche Centrali non riuscissero a tenere la situazione sotto controllo, innescando un rallentamento economico più forte del previsto, questi stessi titoli growth ad alta visibilità continuerebbero a essere sostenuti dalla loro performance relativa. Sarebbe quindi necessaria una vera e propria recessione, affinché a distinguersi fossero i titoli dal profilo più difensivo, ovvero le società la cui attività è meno penalizzata dal peggioramento del contesto economico.

E per quanto riguarda l’ipotesi di inflazione resiliente?


F.L.: Il periodo maggiormente paragonabile a ciò che potrebbe verificarsi è il cosiddetto periodo “Nifty Fifty”, compreso tra la metà degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, quando il primo shock petrolifero (1973) mise fine al ciclo rialzista dei mercati azionari. Verso il 1965, l’inflazione iniziò a crescere gradualmente, spingendo al rialzo i tassi di interesse senza impedire ai titoli growth di qualità di quel periodo di essere ricercati fino a un determinato momento: Digital Equipment (settore tecnologico), Disney (tempo libero), Eli Lilly (healthcare), Kodak (beni di consumo) oltre che General Electric (grandi gruppi industriali). Questi titoli erano chiamati “Nifty Fifty “, una cinquantina di aziende “geniali” in grado di adattarsi al contesto di inflazione.

Ancora titoli growth ad alta visibilità…


F.L.: Esattamente. Tuttavia va sottolineato che lo scenario di inflazione resiliente costituisce ancora una semplice alternativa in questa fase, e che continuerà a esserlo finché un forte aumento delle retribuzioni non si confermerà sul lungo periodo. Pertanto, questa categoria di aziende di qualità in crescita ha un notevole valore relativo, dato che presenta un modello apparentemente in grado di adattarsi a tutti gli scenari attualmente prevedibili.

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1Aziende che riescono a registrare crescita degli utili indipendentemente dal tasso di crescita economica
Fonte: Carmignac, Bloomberg, 12/11/2021